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“Structured Educational Visit to Schools/Institutes & Training Seminars”
Malaga, Spagna
21 - 27 Ottobre 2018

Il corso Erasmus a Malaga si è rivelato proficuo per la mia professione di docente esperta di bisogni educativi speciali. Accanto alla presentazione di contenuti didattici curricolari inerenti il sistema educativo, la politica, la storia e la letteratura della Spagna, ho avuto modo di sperimentare sul campo le pratiche inclusive locali, nonché di confrontarmi con i colleghi di sostegno europei.

Visitando gli istituti superiori spagnoli, ho rilevato un’attenzione marcata agli studenti BES; nella fattispecie mi sono resa  conto che gli alunni con disturbi specifici di apprendimento e gli svantaggiati sociali godono di interventi mirati e ben strutturati dal punto di vista didattico e socio-relazionale.
Il docente di sostegno interviene, diversamente dal nostro sistema  scolastico, fattivamente sui DSA in un rapporto di gestione però piuttosto difficoltoso (1: 15/20). Nel collegio Leon XIII, ad esempio, a fronte di 35 studenti certificati BES (non includendo gli alunni con disabilità), operano soltanto una psicologa e due docenti di sostegno. I  colleghi ci hanno riferito che, con un monte ore di 24 settimanali, cercano di lavorare in gruppi omogenei di recupero e potenziamento sui DSA per ovviare alla scarsità di personale. Tale problematica è stata portata alla luce anche dalle colleghe francesi e polacche: occorrerebbero più docenti specializzati per poter lavorare in modo soddisfacente.

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Per gli alunni svantaggiati socialmente, per quelli affetti da tossicodipendenza o per quelli con famiglie problematiche, sono attive strategie di tutela molto efficaci. Innanzitutto il sistema scolastico spagnolo prevede, per gli studenti di età compresa tra i 15-17 anni, numerosi corsi professionali (vocational education) per ovviare al rischio di dispersione scolastica. Inoltre per i soggetti borderline dal punto di vista comportamentale si tende a evitare l’espulsione come metodo punitivo, ma si propone il recupero con lavori sociali e volontariato. Degna di nota la residenza per alunni svantaggiati realizzata dall’istituto la Rosaleda: all’interno di una palazzina adiacente la scuola sono ospitati, con vitto e alloggio, 178 studenti gestiti da docenti curricolari che si avvicendano periodicamente come tutors.

Per quanto riguarda invece l’inclusione di alunni con disabilità, si tende a accogliere negli indirizzi liceali (baccalaureate) gli studenti borderline cognitivi, mentre nei professionali gli alunni con disabilità più gravi. Nel polo professionale la Rosaleda ho avuto il piacere di partecipare a corsi strutturati di giardinaggio e carpenteria creati ad hoc per loro. Ho altresì appreso che, contrariamente al nostro sistema scolastico, in Spagna e altri paesi europei è prevista la presenza di figure professionali di supporto al team dei docenti di sostegno: logopedisti, psicologi, esperti di lingua dei segni, esperti di autismo ecc. Questo è sicuramente un punto di forza non indifferente, tenendo conto che in Italia i tempi di attesa per accedere a visite con specialisti nella Sanità Pubblica sono davvero lunghi. Mio malgrado ho scoperto anche il rovescio della medaglia: in molti paesi, soprattutto dell’Est, permangono scuole speciali e si pratica in modo diffuso l’educazione domiciliare anche per alunni con disabilità non particolarmente grave. In Italia includiamo quasi la totalità degli alunni con disabilità nella scuola pubblica e questo dato di realtà ha suscitato stupore tra i miei colleghi europei, ma ciò è reso possibile grazie ad un congruo numero di docenti di sostegno assegnati annualmente alle scuole dal Ministero.

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Sempre rimanendo in tema di bisogni educativi speciali,  il seminario che mi ha colpito maggiormente è stato quello sui gifted-talented students, tenuto dalla docente Laura Diaz, nonché mamma di due bambini plusdotati. L’intervento è risultato particolarmente significativo, poiché mi ha fatto riflettere su quanto il sistema scolastico spagnolo si stia prodigando per identificare, certificare sin dall’età prescolare e includere in modo appropriato questi studenti. Nel collegio Leon XIII, mentre assistevo a lezioni frontali in classe, il docente di sostegno mi presentava gli studenti con disabilità, i DSA e i plusdotati, chiarendomi che tipo di intervento personalizzato adottava con ognuno di essi. In Italia  il mondo dei “talented-gifted students” è poco conosciuto e si stima che circa il 5% in età prescolare lo sia. I soggetti ad alto potenziale sono dotati di possibilità di sviluppo superiori alla media in ambiti anche molto diversi tra loro: scolastico, artistico, motorio e socio-emotivo. Se non riconosciuti, possono diventare ipersensibili, sviluppare  difficoltà relazionali, perdere autostima e incorrere nell’insuccesso scolastico. 

La docente Diaz affermava che circa il 60% degli studenti plusdotati vive fattivamente un’esperienza fallimentare a scuola: sui banchi si annoiano, perchè non sono offerti loro gli strumenti e i contenuti adatti a sostenerne la motivazione e a garantire loro benessere cognitivo ed emotivo. Non si tratta di curarli, ma di identificarne i reali bisogni e dar loro sempre una sfida  adatta al loro potenziale di sviluppo. Spesso sono bambini refrattari alla disciplina e vengono confusi con i bambini affetti da disturbo da deficit di attenzione (ADD) e iperattività (ADHD).

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A Malaga esiste un’associazione di genitori di studenti plusdotati che, oltre a collaborare col mondo della scuola, organizza attività di potenziamento in collaborazione con l’università.
Sarebbe auspicabile nel nostro sistema scolastico, laddove si parla nei diversi POF di tutelare le eccellenze, che realmente si persegua tale obiettivo, invece come afferma anche la docente Diaz, si tende a livellamento verso il basso. Responsabilità del docente è quella di offrire ai diversi profili di funzionamento gli strumenti adatti alla singole potenzialità di sviluppo ed è questa la sfida che contraddistingue chi si vuole realmente mettere in gioco professionalmente.

Articolo della prof.ssa E. Cazzaniga

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