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JOB-SHADOWING

ALL’IES LOS CERROS DI UBEDA

dal 15 al 19 ottobre 2018

La mia esperienza è cominciata a casa, con un rapidissimo scambio di e-mail, per stabilire le attività della settimana di Job-shadowing. La mia selezione conteneva anche una domanda: “proverei anche con la lezione di francese, ma è tanti anni che non lo parlo più, non sono sicura di riuscire a seguire, è il caso che segni comunque anche quella?”. Ma ecco la replica di David Cuadros, il mio tutor, insegnante di tecnologia all'IES Los Cerros di Ubeda: “L’importante è la metodologia, l’atmosfera”. Sono rimasta colpita dalla risposta, dal fatto che non si fosse fermato alla parola “metodologia”, molto precisa, molto didattica ...forse non sufficiente per interrompere tutto e trasferire la mia vita a Ubeda per un’intera settimana. Ma eccola lì, la seconda parola: “atmosfera”, così poco scolastica, così densa di potere immaginifico.

E’ stato per quella parola che sono salita su un aereo, poi su un taxi che di corsa mi ha portato verso un bus con il quale ho viaggiato per tre ore e mezzo attraverso la Spagna, per arrivare infine in un albergo storico di Ubeda. L'albergo mi ha accolto con la sua camera dai legni scuri e pareti colorate e mi ha fatto provare la sensazione che quella che stava per iniziare sarebbe potuta essere davvero una cosa bella, non solo utile e interessante.

Nelle righe che seguono, vorrei cercare di trasferire un po’ di quell’atmosfera, che era fatta di luoghi, di musica, di cibo e soprattutto di persone, alcune delle quali vorrei descrivere qui, perché attraverso di loro l’esperienza di job-shadowing ha preso una consistenza speciale.

 

David: eccolo che arriva verso il gruppo degli insegnanti in job-shadowing, al cancello della scuola, di corsa, di fretta, mentre sta pensando ad almeno altre cinque o sei cose che deve coordinare. Eppure è lì con il suo sorriso, i suoi modi amabili che ci accoglie, ci dà istruzioni, ci fa sentire a nostro agio. L’atmosfera è arrivata insieme a David: si percepisce in chi ci accoglie un’esperienza e un’umanità che ben poco hanno a che fare con le abilità linguistiche e questo “altro”, questa atmosfera, è ciò che consente a persone che sono sconosciute fino a un attimo prima, di scambiare, con tutti gli altri, importanti parti di sé e di mettersi in gioco più di quanto avrebbero immaginato.

Prima di entrare nel laboratorio di David, ci soffermiamo a guardare la porta: è tutta decorata con tantissime immagini che rimandano al mondo del software libero, dell’elettronica, ci sono disegni di progetti, di oggetti realizzati con la stampante 3D. Ci si vede la passione di chi ci lavora e anche una certa componente di giocosità. Seguiamo subito la prima delle tre ore di tecnologia della mattinata. I ragazzi, che hanno 13 anni, stanno lavorando a coppie, dovranno realizzare una presentazione di 5 minuti in inglese su un particolare personaggio che è passato alla storia per aver scoperto o inventato qualcosa in ambito tecnico/scientifico. Parlano tra loro sottovoce, fanno le loro ricerche sul web oppure hanno già iniziato a elaborare la loro presentazione e se hanno bisogno di consultarsi con l’insegnante alzano la mano e aspettano in modo estremamente ordinato e rispettoso. Qualche volta oltre ad alzare la mano chiamano per nome l’insegnante, si rivolgono a lui dandogli del tu, ma non reclamano mai il suo aiuto, la sua presenza, non si affollano a fargli domande disordinatamente sovrapponendosi gli uni agli altri. Poche parole, solo l’essenziale, eppure il clima è di operosità, come tra individui maturi, che hanno scelto di essere dove sono, responsabili rispetto al loro progetto e consapevoli che invadere gli spazi altrui, anche solo alzando la voce, sia una mancanza di rispetto. E hanno 13 anni. Noi lì ad osservare siamo colpiti.

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Anche perché, quando passiamo tra i banchi, i ragazzi ci raccontano il progetto a cui stanno lavorando e sono vivaci e partecipi, in alcuni casi estremamente simpatici, coinvolgenti, felici della nostra presenza. Non tutti gli studenti sono già in grado di usare l’inglese per esprimersi con facilità, ma ognuno di loro ci prova davvero (gli studenti che vengono coinvolti nel job-shadowing sono sempre dell’indirizzo bilingue, che significa che almeno il 30% delle ore nelle materie di matematica, tecnologia, storia e geografia e scienze motorie, viene svolto in inglese).

A seconda della classe, la complessità del progetto cresce, com’è naturale, arrivando anche a contemplare l’uso di Arduino, programmato attraverso Visualino, un linguaggio semplificato di programmazione, per la parte elettronica di congegni che poi verranno disegnati e progettati dai ragazzi e stampati con la stampante 3D. Moltissima fantasia è messa all’opera per inventarsi la funzione dell’oggetto da realizzare: dallo strumento per la degustazione dell’olio, all’erogatore di pillole a seconda dell’ora del giorno, al ponte che si apre per il passaggio del battello, e tantissimi altri ancora.

L’insegnante di matematica invece è don Emilio. Don Emilio è l’unico insegnante che ho incontrato a cui ci si rivolgeva con l’appellativo “don” e al quale non si dava del tu, forse per via dell’aspetto decisamente un po’ formale. Anche lui fa lezione in un laboratorio attrezzato con personal computer che i ragazzi, studenti piuttosto giovani, 12 o 13 anni, possono usare a coppie. Le ore di matematica di don Emilio sono state usate per la maggio parte da Josip, un insegnante croato, ospite anche lui come noi, che ha voluto familiarizzare i ragazzi all’uso di Geogebra per alcune sue funzioni. E' stato in questa circostanza che don Emilio, apparentemente così poco estroverso si è dimostrato invece affettuoso e pieno di attenzione per i suoi studenti. Lui passava tra i banchi, li aiutava con pacatezza e traspariva dai suoi gesti anche una carica umana che stupiva, se messa vicino all’appellativo “don”.

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Poi, l’ultimo giorno, l’ultima ora, l’esplosione di creatività di Miguel, l’insegnante di scienze. Miguel parla inglese con una certa difficotà, ma era assistito dai suoi studenti, che traducevano nei casi più ostici mentre lui li guardava fiero e sorridente. Sono ragazzi di 15 anni che hanno scelto il corso di scienze non obbligatorio. Lavorano in piccoli gruppi e lavorano con una metodologia enquiry, sviluppando ciascuno una coppia di progetti in un anno. Questi progetti nascono per rispondere a una domanda di ricerca, di cui non è necessariamente nota la risposta e a loro tocca di investigare sul problema e cercare di risolverlo. Ad esempio: scoprire quale sia il font che consuma meno inchiostro tra quelli disponibili nel programma di videoscrittura (il font più ecologico), che poi la scuola userà per scrivere i documenti da stampare. Ma il laboratorio era talmente ricco di stimoli visivi che, dopo aver ascoltato gli studenti che descrivevano i loro progetti, Miguel ha colto al volo la nostra curiosità e ha iniziato a raccontarci la storia di ciascuno dei progetti esposti. L’approccio, si intuisce, per quanto tratti temi semplici e usi materiali poveri, è altamente professionale per quanto riguarda la metodologia scientifica: c’è una vera ricerca, c’è vera sperimentazione di cose che non sono necessariamente già note nemmeno all’insegnante e infine c’è il relazionare attraverso poster i risultati ottenuti. Questi ultimi sono sostanzialmente realizzati con una tecnica che è quella che si usa per presentare un argomento di ricerca a un congresso scientifico. Traspariva la capacità di Miguel di guidare nella ricerca gli studenti, prima selezionando per loro i temi significativi, con il livello giusto di difficoltà, fino a raggiungere la comunicazione dei risultati ottenuti.

L’atmosfera che ho respirato è stata densa di creatività, di umanità, di simpatia, di passione per la materia insegnata. Camminando per la scuola, con il privilegio di poter aprire una porta ed essere accolta in modo così speciale,  lo sguardo veniva catturato dalle numerosissime frasi scritte sui muri, sulle alzate dei gradini, attaccate alle porte. Ne scrivo qui due che mi hanno messo allegria:  “Adoro los libros que me dejan la cabeza llena de pàjaros” e, sopra la porta di un ufficio della segreteria, scritto con carattere giocoso e irregolare: “Si la vida te da limones, haz limonada”.

Lavorare tanto, ma senza prendersi troppo sul serio e lasciar cinguettare i pàjaros che riempiono la testa quando ci si immerge con tutta la propria vita dentro qualcosa, qualsiasi cosa sia.

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